31 ottobre 2007

Chissà chi lo raggiungerà...

Rubo un articolo dalla Gazzetta e lo metto nel blog. L'articolo è simpatico e racconta la nuova vita di Belinelli negli States. La cosa più bella è che si è portato dietro gli amici a vivere con lui. In pratica vivono a sue spese!
Detto questo, posto che il Borotto sarà presto Dott. Ing. Lup. Man. Pres. Natural. Prestanom. Om di Pagl. Gr. Test. di Cazz. di qualche megaditta americana, ci sarà il sorteggione per vedere chi gli farà compagnia. Robi, in tempi non sospetti, si era già prenotato come giardiniere. Io gli farò da fixer. Soldi ne farà a palate come il Belinelli. Tocca a te, caro lettore, trovarti un lavoro per farti mantenere da lui!

SAN FRANCISCO (California, Usa), 31 ottobre 2007 - Coach Nelson gli passa accanto mentre Marco sta provando una serie di tiri e gli dice: "Belinelli devi fare più attenzione a dove metti i piedi: in questo angolo la linea del fuori è molto vicina, gli arbitri in questo sono dei pignoli". La mano di Beli non è più infallibile come durante la Summer League di Las Vegas, forse sente le vibrazioni di una crescente emozione. "Normale per un rookie. Ma a lui non chiediamo nulla, niente responsabilità, quindi non deve assolutamente sentirsi sotto pressione", dice Baron Davis, la stella della squadra, protettore fin dai primi giorni del ragazzino di Bologna.

L’America di Beli, ora, è una faticosa salita come quella che porta alla sua nuova casa sui colli di Berkeley, a un passo dalla storica università dove si scatenò il ’68 negli States: "Quei colli mi ricordano quelli di Bologna", dice. Casa su tre piani, arredamento con televisore al plasma ultimo grido e playstation, panorama sulla Baia più celebre d’America. Ma nella voce di Beli c’è un pizzico di malinconia. Solo un pizzico, perché la bellezza del sogno in cui è entrato di prepotenza dal giugno scorso, giorno del draft in cui i Golden State Warriors lo scelsero come numero 18, prevale su tutto il resto: "E poi adesso mi hanno raggiunto la mia ragazza, mio fratello e i miei amici". La fidanzata Martina, il fratello Enrico, suo agente, l’amico delle giovanili alla Virtus, Marco Barbieri e quello del cuore, Alessandro Saponaro detto "Sapo". "Ma qui mi chiamano 'Sapp Dogg' o 'the driver'.

Per le strade di San Francisco, Marco Belinelli, anni 21, da Bologna non guida: "Semplice, non ho la patente. Non ho mai avuto tempo. Ma ora appena ho un minuto me la prendo. O magari quando torno in Italia quest’estate". Così ci pensa "Sapp Dogg", bolognese anche lui, a guidare la fiammante BmwX5 che il Beli si è appena comprato. Per traslocare e diventare una sorta di "damo di compagnia", il "Sapo" ha lasciato un tranquillo lavoro impiegatizio: "Beli mi ha chiamato e io sono stato felice di venire in America con lui". E’ giorno di vigilia, pomeriggio libero, dopo un allenamento intenso ("spesso sono sei ore: Beli deve arrivare un’ora e mezzo prima degli altri per le incombenze da rookie, quindi c’è la seduta regolare, poi i pesi, la tattica, i video", spiega Alessandro) si va alla scoperta della città.

Prima l’appuntamento dal Console italiano per diventare a tutti gli effetti un "italiano residente all’estero", poi le foto al playground dove Muccino ha girato alcune scene del film "La ricerca della felicità". E’ un posto magico, incastrato dentro la Chinatown su Sacramento Street. "La felicità per me è quando stai bene con te stesso. Io lo sono. Lo sarò ancora di più se vinco qualcosa", racconta Beli. Da qui domina San Francisco, l’America: si deve sentire onnipotente; è giovane, ricco, celebre, bello. E davanti a sé ha il sogno dell’infanzia in via di realizzazione: "Volevo venire fin qui e giocare nella Nba. Ora l’ho centrato. Gli altri obiettivi li scoprirò giorno per giorno. Non voglio tutto subito".

Il fratello Enrico se lo mangia con gli occhi: ha dieci anni più di lui e quindici centimetri in meno. "Chissà perché? - dice -: lui è l’unico altissimo in famiglia. La passione per il basket gliel’ho trasmessa io. Io però sono arrivato fino alla serie D. Con questo metro e ottanta dove potevo andare? Doveva vedere le partite nel cortile di casa. Fino a quando Marco aveva 13 anni vincevo io e lui rosicava. Poi non l’ho più visto. Mio fratello ha talento naturale". Beli osserva ciò che c’è sotto di lui: la sua America, quella che fino a pochi mesi fa aveva visto solo nei film e nei tg dell’11 settembre 2001: "Ero un ragazzino. Quando successe ero a casa a San Giovanni in Persiceto. Guardavo la tv come tutti, ma l’America e la Nba in quel momento non erano nulla, posti troppo lontani. Però nei ilm non si esagera: io questo paese me l’ero immaginato esattamente così".

Ora il Beli si fa delle scorpacciate di cookies, quelli al cioccolato, specialità "Made in Usa" e di Gatorade al gusto d’uva. "Nello spogliatoio mi chiamano 'Cookies Monster' per la mia voracità. Ma mi devo dare una calmata". Perché nel ritiro delle Hawaii ha scoperto di essere ingrassato quasi quattro chili, allora hanno avvertito Alessandro: "Mi hanno detto 'Quando torniamo, dagli un occhio tu' e così controllo che Beli faccia il bravo a tavola". A parte le scatole di "Kentucky Fried Chicken" che tutto il clan ha appena ripulito con pochi rimorsi per la linea. Ormai, Beli si scambia messaggini con il "Barone" Davis al quale insegna le parolacce, manda sms pure a Kobe Bryant che gli ha dato il suo numero. In poche settimane ha addomesticato l’America. Ora non gli rimane altro che domare il pallone della Nba: "M’impegno come un pazzo. Sono sicuro: ce la farò".

Fonte: Gazzetta dello Sport, 31.10.2007

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