15 agosto 2006

Welcome to America

Ragazzi,

eccomi qui a New York, sono le 5 del mattino e ovviamente - come aveva previsto qualche gufo - causa fuso non riesco più a dormire! Per stanotte sono ospite di Emanuele, un ragazzo romano che sarà mio compagno di corso, e sono qui buttato con un materassino da campeggio sul pavimento che cerco di fare piano per non svegliarlo. Da fuori viene un sacco di rumore (e siamo al quinto piano!), macchine, gente che parla, camion dell'immondizia che sembrano stazionare qui sotto per ore. Non vedo l'ora che siano le otto così vado a prendere la mia casa e vedo com'è. In teoria dovrebbe essere come quella di Lele, e ci metterei la firma, perchè è molto bella, una stanza grande più cucinino e bagno, sistemata da poco, con pavimento in legno lucido e muri appena imbiancati. Ti viene voglia di pensare a come arredarla, per ora ci sono solo un divano un paio di poltrone e un tavolino. Ma promette bene.

Ieri il viaggio fila via liscio e veloce, a parte super controlli e il fatto che non fanno portare bagagli a mano. E' permesso solo un sacchetto trasparente con lo stretto necessario. Io ci metto dentro "L'amore ai tempi del colera", di Garcia Marquez, consigliato da Sandra, e d'un fiato leggo 150 pagine. Adesso mi piacerebbe andare avanti chè voglio vedere che succede dopo che il dottore ha conosciuto Fermina ma non posso accendere la luce. I controlli fanno perdere tempo (2 ore per il check-in a Venezia) ma in aereo si sta più comodi, senza i bagagli a mano giganti compressi dentro le cappelliere che la tua roba non ci sta mai, senza la gente che si alza per prenderli e fa cadere tutto, senza il cibo puzzolente portato dagli indiani di turno. E poi si scende velocissimi. Il bambino che piange sì, quello c'è anche ieri, immancabile, ma è una bimba piccola e molto bella.

New York ti accoglie con un aeroporto gigantesco che sa di vecchio, e uno stuolo di gente sovrappeso - e non di poco - che ti fa interroggare su che cacchio mangiano qui e su quanto lontano sei dall'Italia. Poi passi al controllo documenti, con il timore recondito che non ti facciano entrare perchè hai sbagliato qualcosa nel fare il visto, alla dogana, dove speri non ti sgamino l'olio il caffè e i biscotti fatti in casa che ti sei portato abusivamente ma sai che tanto sei entrato e al massimo ti danno una multa, poi esci e con un senso di soddisfazione capisci sei veramente sotto il cielo d'America, e che ormai sei in ballo.

Due ore nel traffico e sono a casa di Lele, sulla 113 West, vicino a Columbia, apro le mie valigie che quasi scoppiano da quanta roba ci ho messo, doccia e poi via, a fare un po' di spesa per andare a cena a casa di Marco, torinese, altro italiano del master, insieme al suo coinquilino argentino ad un altro italiano di passaggio. Altezza media 1.90, e tutti gentilissimi. Ci si conosce appena ma si chiacchiera bene. La nostra Little Italy sta già nascendo, ed è anche un po' veneta, visto che i termini "mona" "spritz" e "tachente" sono già stati introdotti! Il menù prevede penne alla vodka con pecorino, non male come accoglienza!

Alle dieci già crollo dal sonno e alle undici sono a letto, pensando che oggi nell'ordine voglio fare: casa, conto in banca, cellulare, acquisti essenziali per la casa.

Al cinquecentesimo camion dell'immondizia anche Lele si è alzato, ora si accende la luce e si comincia la giornata.

Un abbraccio a tutti,

Fausto

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ciao Fausto. Sono tornato apposta prima dal mare (qua sono le 18) per sperare nel tuo primo post dagli States. Sono stato accontentato.
Sono contento che l'impatto sia stato dei migliori anche se dalla foto mi sembri il piu' classico degli immigrati che sognavano l'American Dream e si ritrovano in una topaia.
Mi raccomando i letti: x quanto arrivano ne voglio uno comodo per il mio povero collo! ;-)
Un abbraccio.
Kolya